Kiwi

Ho fatto un clafoutis di kiwi e sono molto soddisfatta. Non so che sapore abbia, ma la preparazione è ultimata. Ho messo anche qualche ciliegia coi bighetti, nel caso fosse molto aspro… naturalmente ho tolto i bighetti.
Intanto lo stecchino veniva sempre umidi, quindi il dolce si è decisamente colorito. Sarà una cena à la française!
Ho bollito le patate e lo sbucciate senza bruciarmi le mani, patate lesse ed olio buono, sono come i bassi della sinfonia della vita.

piccoli tesori crescono

Ci sono ricordi che voglio portare segretissimi dentro di me e ricoprire di carezze e respiri caldi, per trasformarli in bellissime perle. Messaggi dentro le bottiglie in un mare di bottiglie, non c’è posto migliore dove nasconderli. In ordine sparso, sacri e profani, ad libitum.

Quella mattina che ci siamo svegliati in una cornucopia di coperte calde come la pancia e tutta la casa era avvolta nel silenzio della neve. La musica del pianoforte che suonava solo per noi e filtrava piano attraverso le pareti, con solo i respiri come metronomo. Dalla finestra del bagno si vedevano i fiocchi di neve cadere al rallentatore, che da dentro la vestaglia che pizzica sembravano ancora più morbidi, e tra le misteriose finestre del cortile interno, alla rinfusa, le pentole impiliate illuminate dalla luce gialla della cucina, nel disordine dell’abbondanza. Abbiamo ballato sul parquet tiepido, che sembrava partecipare pure lui con i suoi scricchiolii dolci, una danza che nel dizionario la puoi trovare solo sotto la parola “spontaneo” da tanto che ci calzava bene, come la pelle. Io avevo le calze grige spesse, quelle di lana.

Quel pomeriggio che, pulite, in mutande nel lettone mangiavamo i tronky (mi sembra che ci fosse una coperta azzurra) e sulla scatola abbiamo grattato il sette e mezzo e abbiamo vinto un miliardo di lire e abbiamo iniziato a saltare sul letto. Per me un miliardo di lire erano solo tantissime banconote da mille lire e magari anche qualcuna da diecimila, ma che gran bella sensazione. Per me le avremo per sempre vinte, anche se ovviamente non è vero. Io, una volta nella vita, ho vinto la lotteria. Ho vinto la lotteria dei ricordi.

Quel momento che era buio, era notte, ed io ero solo calore, solo anima e in certi punti dove mi toccavi secondo me facevamo la luce. Eravamo sia asciutti che bagnati, nello stesso momento completamente assenti e completamente presenti, ci vedevamo ad occhi chiusi anche se era buio, forse era solo qualche secondo, ma il tempo non è niente e secondo me facevamo la luce.

Quando avevo paura e mi portavo dietro gli occhiali di cellulosa tartaruga che usavi da casa; quando ero ancora sveglia se facevi le notti. E insieme a questi i pomeriggi ai giardini pubblici, le mattine bellissime in cui non andavo all’asilo, la prima volta al cinema (che me la sogno ancora), gli occhiali da sole da gatta con le lenti rosse, i pantaloni con le rose stampate e i succhini alla pera, ma continuare all’infinito…

Quando il sellino sulla bicicletta era ancora davanti, di cuoio imbottito nero e liscio, bisognava fidarsi ciecamente, che già di per sé è una delle cose più belle della vita. E poi i fuochi d’artificio coloratissimi sull’asfalto grigio, che però sembrava sempre un po’ viola. E poi bisognava andare alla velocità giusta, non troppo veloci, non troppo lenti come i dischi con lo specchio che mi facevi girare ogni tanto. Mi piaceva suonare il campanello. Si poteva fare, ma non troppo.

le mie perle segrete, che si formano strato dopo strato, di gioia e dispiacere, preziose.

avrei un appuntamento in capo al mondo

Mentre impazza il temporale,

comincia il capitolo due di quest’avventura. Lasciata la Germania, la Francia e i suoi gateaux mi hanno accolto a braccia aperte. E dopo un’indigestione di zuccheri e rimpallamenti per uffici a sbrigare pratiche di dubbia utilità, bisogna rimettersi all’opera.
Già ho iniziato a fare fotocopie inutili.

E poi la sera mi addormento alle otto e mi risveglio alle dieci, come se stessi entrando in un particolare letargo dei sensi.

Sembra un po’ di vivere in barca, ma non è colpa mia, la stanza è così piccola che se la scrivania come al solito è invasa dagli oggetti più assurdi (aspetta, lo appoggio qui, così dopo lo metto apposto e non creo troppo caos) resta solo il letto libero!

e a ore nuove canticchio nuove musiche nella mente, musiche che non avevo mai ascoltato prima…

Giugno che avanza

la fame si confonde con la noia, e non so quale delle due alimenta l’altra. intorno a me vedo delle persone molto motivate, che potrebbero essermi da ispirazione. mi piace la sua testa tonda e quella bocca rossa e sottile, per non parlare del collo morbido, morbido, morbido. le immagini eloquenti che mi sono venute in mente nella sua stanza, lo vedo chiudere gli occhi per respirare.

non è che non mi piaccia quello che faccio, ma sono probabilmente solo pigra. tra l’altro lo trovo difficile, mi sento in difficoltà e non so dove sto andando, mi lamento un po’ meno di alcuni, un po’ più di altri. le ore di qui a domani sembrano infinite, invece non le sono. se fosse nella mia lingua non avrei grossi problemi, quello che devo fare è elementare, leggere  e riportare. mi fa fatica perché è in tedesco. mi fa anche un po’ male la schiena. chissà se la mia amica mi risponderà, così avrei una scusa per alzarmi e prendere sto caffè che mi fa voglia da due ore.

Bozze

Qual è la linea sottile che divide la perseveranza dall’ostinazione?
Cos’è che distingue la speranza dall’illusione?

Fino a che punto si deve combattere per le proprie idee, per i propri desideri, senza trasformarle in ossessioni?
Qual è il limite?
Quando si diventa ridicoli? E l’essere ridicoli è poi una buona causa per fermarsi?

Quando si abbandona qualcosa, è perché non si crede più in questo qualcosa o perché non si crede più in noi stessi?
Quanto si può insistere?  Quanto si deve insistere?

uno indietro che male non fa

avanti-indietro, avanti e indietro.
l’andata e ritorno, l’andata e il ritorno. non è il ballo del pinguino

andata e tornata, mi sono addentrata metaforicamente e non nel passato prossimo. e ne sono uscita come Enea dagli inferi, tenendo stretto il ramo d’oro. per ora me la sono cavata. anche perché, indietro non si torna. non si può, e si cerca di dirlo con serenità.
in fondo, anche tornare indietro è sempre un po’ andare avanti, perché quella storia del fiume…. bla bla bla

quando mancano trenta secondi alla fine della partita, pensi che bello che sarebbe, il guizzo, e avere una scusa per fare un salto e dire olé! non importa niente del perché, almeno non a me… non succede eh, però tu sei lì, seduta sull’erba gialla e seccata, che pensi che bello che sarebbe, se nella vita ogni tanto succedesse, stai perdendo, ma, quel guizzo     e poi… olé!
non succede    e posso sorridere lo stesso, lo so!

anche se mi sembra sempre primavera, da due mesi, è estate, da due giorni! (per la simmetria del pezzo) e quindi rimbocchiamoci le maniche per meritarci le vacanze

 

epifania (senza morti di freddo)

allora bisogna che faccia questa confessione, sono assolutamente e totalmente pigra e disordinata.

questo favoloso connubio di caratteristiche piuttosto comuni, ha fatto si che, da quando mi è stato regalato per il compimento dei 18 anni ad oggi, il mio fantastico lettore mp3, abbia mantenuto pressoché intonsa la playlist che avevo composto allora. qualche piccola aggiunta nel tempo, ma non molto di più.

beh, l’epifania. è che mi sto abbracciando nell’anima, la piccola me diciottenne sono ancora io, siamo ancora noi!!

 

90 giorni.

90 e un po’ giorni fa   nuotavo nel buio. mangiavo le giornate aspettando freneticamente la notte. per la prima volta da che ho memoria, ho desiderato che il tempo passasse più in fretta, invece che più lentamente. mentre dimenticavo di avere un corpo, due braccia, due gambe, una pancia. e il mio corpo cercava di farmelo capire. ma io avevo solo una grande testa, piena di sabbie mobili.

90 e un giorno fa          un forte impatto nel buio. non c’è da vergognarsi a dire che l’impatto è stato duro. sapevo che doveva arrivare, come quando sei così vicino alla meta che non la puoi vedere, ma sai che c’è. mi divincolavo così forte e così disperatamente che desideravo quel muro, più della luce. è arrivato. era duro.

90 giorni fa                  ho cominciato a risalire. stordita dall’impatto, come una pallonata secca in pieno viso, di quelle che ti fanno pulsare le tempie e bruciare il naso; la sensazione istintiva di paura quando hai gli occhi pieni di lacrime, ma tu non stai piangendo. cosa poteva andare peggio?

intermezzo: mi avevano assicurato che facendo tutto per benino, facendo il proprio dovere, tutto viene ripagato. un’equazione perfetta fra buona volontà, fatica, impegno e risultati. quando non arrivano, allora, ti dicono che avevi solo sbagliato a mirare, che non era quella la tua meta, deve essere qualcosa di meglio.
è solo un modo di raccontarsela? è solo un modo per sopravvivere?
magari ne riparleremo; mi sta anche bene, per adesso la sopravvivenza

ieri  una settimana della mia agenda ha perso uno spigolo. ne ho strappata una striscetta, l’ho fatta in piccoli pezzettini. li ho guardati dall’alto, mentre dalla mia mano cadevano svolazzando nel cestino. alcuni sono caduti fuori, li ho lasciati lì.

oggi mi ricordo che ho due braccia e due gambe, i giorni durano di nuovo 24 ore, non un minuto di più, non uno di meno. ogni tanto faccio dei respiri profondi. ogni tanto no. sinceramente, sorrido.

il cane di Hitler

sono entusiasta della vita e questo mi frega.
sono sempre stata un’entusiasta della vita e questo mi ha quasi sempre fregato.

entusiasta di stare con la gente.
entusiasta della gente.

l’amicizia. nella vita c’è l’amica che ti invita sempre a casa sua, ma non vuole mai venire da te. né con te. né con i tuoi.
così io, piccola entusiasta,mi buttavo a capofitto nelle persone e non vedevo l’ora di giocare. da te, da me? che importanza ha, io anima candida vedevo intorno a me solo anime altrettanto candide. non capivo perché mia madre si ostinasse a dire che “le persone che fanno così non si comportano bene”, perché alla fine nella mia casa troppo silenziosa e spesso vuota, per me era normale che non ci si volesse venire.

poi arriva un giorno in cui improvvisamente la realtà ti appare in maniera univoca e chiara: capisci perché i calzini non vanno messi in lavatrice appallottolati e in effetti tenere il frigo pulito ha la sua utilità. capisci piano piano anche molte altre cose. capisci che tua madre aveva ragione!
non sempre ovviamente, ma ad ogni modo, ora inizio a capire. ho un sentore che presto si tramuterà in illuminazione, quando scorrerà ancora un po’ d’acqua sotto i ponti. ma inizio veramente a capire perché queste sono persone che “non si comportano bene”.

sono persone che prendono senza darti niente, o dandoti ben poco. magistralmente brave: prendono con l’illusione di donarti.
magari non sono consapevoli nemmeno loro di cosa stanno facendo, ma in fondo forse sì. però non sanno cosa vuol dire compagnia.

fatto sta, che io entusiasta della vita, mi identifico in un fermo immagine di un cane giocoso, con la lingua fuori e lo sguardo di chi ha visto il suo padrone arrivare con una pallina in mano.
i cani, creature eccezionali. non è che solo loro fra gli animali sono capaci di amare, ma sono gli unici che illudono gli uomini di poterne essere i padroni dando in cambio solo sguardi illuminati. (che stupidi, noi uomini)
la creatura più felice del mondo è il cane che può stare insieme al suo padrone. anche quando ha per padrone l’uomo peggiore del mondo. la sua felicità nel vederlo non vale meno di quella degli altri cani. forse vale qualcosa di più? secondo me sì.
di sicuro vale più di quella del padrone.

sono orgogliosamente uno sciocco cane entusiasta. voglio coccolare il mio spirito canino interiore. zampetterò irruentemente con poca grazia ma tanta maestria intorno alle anime che incontro.